Le ciambelle di Pasqua dell'Amiata
Luoghi ed atmosfere
«L’hai fatte le ciambelle?» Era la domanda ricorrente tra le donne del mio paese, Bagnore, durante la settimana di Pasqua. Quel fare le ciambelle non si riferiva soltanto ad un tipo di dolce pasquale, ma alludeva ad una serie di prelibatezze tradizionali, tipiche di questa festività, come schiacce dolci, salate, con friccioli e zucchero, salami ripieni, crostate con le noci e chiare montate, ricotta e marmellata, zuccherini con l’unto, genovesi, baci, peschine...
Uno dei luoghi di incontro che contribuiva a creare atmosfere ed emozioni era il forno, di proprietà privata ma a disposizione di tutto il vicinato. Noi usavamo, di solito, il forno della nostra vicina Clara, distante circa cinquanta metri dalla nostra casa. Veniva acceso il giorno prima della cottura dei dolci, perché raggiungesse l’indomani la temperatura giusta. Il forno di Clara era una specie di capannuccia bassa, con le pareti esterne di scope alle quali erano accostate due tavole, che si reggevano ciascuna su due sassi ed usate per appoggiarci la tavola del pane. In un angolo c’era un secchio di ferro per raccogliere la cenere, alla parete erano appoggiate la pala di legno e la scopa per pulire il forno, il mondulino. La sua bocca si chiudeva con una lastra di ferro che quando si apriva mostrava l’interno, ricoperto di mattoni refrattari ed il soffitto semirotondo. La brace del fuoco doveva essere scansata per far posto alle teglie e la cenere, in eccesso, veniva spazzata fuori con il mondulino, mangiucchiato dal fuoco. Quando si apriva il forno, aiutandosi con una curoglia, cioè uno straccio che impediva di bruciarsi, arrivava immediatamente una folata di calore alla faccia, un caldo buono che si mischiava al profumo della cenere. Si respirava aria di festa solidale e condivisa tra le famiglie del rione del Poggio, tutti si aiutavano con gioia, nella ripetizione annuale dei gesti, necessari alla produzione dei dolci di Pasqua. Venivano stabiliti dei turni giornalieri per l’uso del forno: mercoledì toccava a Nella e Assunta, Giovedì Santo a Rosa di Osvaldo e Sandrina, Venerdì Santo a Renata e alla Fedora e così via. L’altro ambiente insostituibile erano le cucine, al piano terra della casa dei fratelli Coppi, che diventavano laboratori di pasticceria, anzi fucine vere e proprie. Nelle ultime settimane, precedenti quella della Pasqua, si mettevano da parte le uova per i dolci. Ne occorrevano in grande quantità ma non era un problema, perché nel pollaio, con l'inizio della buona stagione, le galline ne producevano in abbondanza. Non a caso la Pasqua da noi è chiamata anche “Pasqua d’ovo”. Anche il pollaio era un luogo importante, fin dal primo giorno di quaresima si mettevano da parte le uova per i dolci di Pasqua, almeno uno al giorno. La preparazione delle ciambelle iniziava la sera precedente del giorno stabilito per l’uso del forno, con la prima lievita, riprendeva all’alba, continuava per tutto il giorno, fino ad arrivare di nuovo alla sera e talvolta proseguiva fino a notte fonda. Tutta la famiglia era coinvolta nella lavorazione: chi impastava, chi spennellava la superficie delle ciambelle con l’uovo sbattuto, utilizzando una penna di gallina (aveva un grande fascino, per me), chi sbatteva decine di coppie d’uova, chi metteva a lievitare i dolci sui letti, sotto le coperte, con accanto il prete, un attrezzo in legno che reggeva la pretina, un piccolo scaldino con la brace. Generalmente ai bambini toccava untare i teglioni con una carta o uno straccio impregnati di unto, cioè con il grasso del maiale.
Il forno di Clara restaurato
Le ciambelle di Pasqua non sono sempre con il buco
Per ciambella si intende un dolce a forma di cerchio, con un vuoto nel mezzo ma forse perché, come recita il proverbio, “non tutte le ciambelle riescono col buco” oppure perché amiamo le differenze, le ciambelle di Pasqua sull’Amiata, possono avere forme diverse, da quella classica a quella rotonda o allungata come una pagnottina di pane, a quella fatta a gomito. Il sapore del loro impasto è profumato di anice ed è poco dolce, la superficie è liscia e scura perché spennellata con l’uovo sbattuto. A mio parere assomigliano come gusto e consistenza ai maritozzi (del resto viviamo al confine con il Lazio).
La lavorazione
Dopo la prima lievitazione, le ciambelle venivano disposte sulla tavola del pane o su un capisteio, una specie di vassoio lungo, rettangolare, di legno, coperto da teli bianchi, tra le cui pieghe venivano disposte le pagnottine, con delicatezza e premura, proprio come fossero un bambino da adagiare nella culla, quindi si ricoprivano con il panno rimanente. Si mettevano, dunque, a lievitare tra le lenzuola e le coperte, al calduccio, perché le case non avevano il riscaldamento e la temperatura fredda, non permetteva alla pasta di “sfogare bene”. Su ognuna di essa si metteva una foglia di olivo benedetto. Il profumo di lievito e di “anaci” si diffondeva ovunque nella casa e contribuiva ad agitare i bambini che correvano concitati su e giù per le scale della nostra grande abitazione, cercando di rendersi utili in qualche modo e di seguire le diverse fasi della lavorazione. Arrivava poi il momento di controllare il punto di lievitazione. Ricordo zia Assunta che tirava su, con rispetto e cautela, le coperte del letto e sollevando il telo che copriva le ciambelle, guardava con una torcia se i dolci fossero lievitati e se avessero raddoppiato il loro volume. Un profumo di lievito, anici e vinsanto si sparpagliava per la stanza, rimanendo impigliato nei nostri capelli. Se la zia valutava che le ciambelle erano arrivate al punto giusto, avvertivamo una specie di fermento che contagiava tutti i presenti, bisognava far presto e portarle al forno, sennò passavano di lievitazione. In pochi minuti si formava spontaneamente una piccola processione di persone che si dirigevano verso il forno. Zia Assunta si metteva sulla testa una curoglia e sopra questa appoggiava la tavola del pane, mamma, di solito, teneva il capisteio appoggiato sul fianco. Così loro due aprivano la fila, seguite dai bambini che portavano in mano le altre teglie (o meglio le pentole e i tegami, usati come stampi) delle schiacce, entusiasti di partecipare a questo strano e improvvisato corteo. Arrivati al forno, bisognava aspettare che l'interno del forno fosse "palito", cioè stemperato e si formassero delle macchie bianche sul soffitto ( chiamato cielo, come mi ha suggerito la mia amica Franca), quindi adagiavano le ciambelle, una alla volta, su una pala piatta di legno e le spingevano dolcemente all’interno, collocandole nella posizione giusta per la cottura. Si aspettava lì, sotto il forno, seduti sulle tavole traballanti ad aspettare che fossero cotte e per riportarle a casa con il solito corteo, che al passaggio della tavola delle ciambelle bollenti, diffondeva negli orti e nella strada il loro profumo.
Da tenere presente che le ciambelle...
- Per restituire il massimo del loro sapore e fragranza dovrebbero essere gustate fredde e “rifermate”, ma il desiderio di assaggiarle è tanto e non sempre si resiste.
- Tuffate nel caffelatte sono speciali...cosparse di ricotta fresca poi...sono mondiali (aggettivo di babbo/nonno Sergio per dire speciali, le migliori)
- Gustate con pezzi di uovo di cioccolato fondente sono state la migliore merenda dolce della mia infanzia.
Messaggio per Gabriele e Sofia, i miei nipotini 💖💖💖
Chiudete gli occhi ed immaginate di spalancare la porta di una stanza piena di tutte queste bontà, di annusare gli aromi che si mischiano tra loro, fondendosi in un unico profumo di primavera e di assaggiarne qualche pezzettino...magari di nascosto, che si gode di più! Vorrei farvi provare questa emozione che per quanto io tenti di suscitarla in voi, mi è impossibile riprodurla per quello che veramente era. Vi proporrei di riattivare "la fucina " questa prossima Pasqua, cosa ne pensate?

Ingredienti
Per la lievita
Per la lievita
- un cubetto di lievito di birra o 200g di pasta madre + 10 gr di lievito di birra
- 1 cucchiaino di miele
- farina q.b.
- 1 bicchiere di acqua tiepida
Per il resto dell'impasto:
- 4 uova +1 (per spennellare con poco latte)
- 3hg e mezzo di zucchero
- 250 gr. di olio EVO
- un bicchiere colmo di latte. (Meglio sarebbe di scotta, il liquido di cottura della ricotta)
- 1 bicchiere colmo di vino bianco
- semi di anice (circa 20 gr o secondo il gusto)
Procedura
Preparare la lievita la sera precedente. Disporre la farina a fontana in un recipiente, aggiungere il lievito sciolto nell'acqua tiepida. Ottenere un panetto abbastanza consistente e ricoprirla con altra farina. Lasciarlo riposare per almeno 8 ore. Trascorso questo tempo,sulla superficie compariranno delle fessure, tra la farina che lo ricopre.(come nella foto) Nell'attesa mettere gli anici a macerare nel vino bianco. Questo bagno prolungato esalterà maggiormente il loro aroma.
L'indomani, preparare l'impasto sulla spianatoia, con la classica fontana di farina alla quale si aggiungeranno gli altri ingredienti (le uova, lo zucchero, l'olio, il latte/scotta,gli anici, il vino) e la lievita. Quel che serve di più è l'olio di gomito, per ottenere un impasto ben amalgamato,liscio e sodo (le moderne planetarie costituiscono un valido aiuto visto che spesso mancano braccia allenate e volenterose). Mettere a lievitare in un luogo caldo, coprendo il recipiente con un asciughino.
Una volta lievitato, dare forma alle ciambelle, secondo il proprio gusto (di solito si facevano a ciambella con il buco, a pagnottina lunga, a gomito, rotonde) e mettere di nuovo a lievitare al caldo e ben coperto.

Porre le ciambelle a lievitare su una teglia in un luogo caldo, appoggiate su carta da forno, per almeno 5 ore. Coprirle con un panno.
(Noi abbiamo la fortuna di avere lo stanzino del bruciatore che si affaccia nella cucina e ci offre la temperatura ideale per la lievitazione, tanto che Sofia lo ha denominato "Camera di lievitazione")

Trascorso il tempo indicato, spennellare la superficie con l'uovo sbattuto e un goccio di latte. Cuocerle, quindi, in forno ben caldo ed umidificato (porre un tegamino pieno di acqua sulla base del forno), per circa 15/20 minuti.
💖💖💖 Un ricordo ai bambini di allora: Antonella, Riccardo, Irene, Fabrizio, Vasco, Walter ed Ennio Coppi
Che bel post Antonella! Ricco di amore. Mi hai fatto vivere con te le giornate precedenti la Pasqua. Non conoscevo questa ricetta, davvero interessante. Un abbraccio
RispondiEliminaGrazie Giovanna, ho voluto rivivere queste emozioni per cercare di trasmetterle ai miei nipotini e raccontare loro di un tempo passato, non molto lontano in realtà, ma completamente dimenticato ed espressione della nostra gente e della nostra terra. Un caro abbraccio
EliminaMa che brava devi essere! A me i lievitati non vengono mai bene. Complimenti!
RispondiEliminaGrazie, Cristi! E' un immenso piacere ritrovarti , un abbraccio
EliminaLeggendo questo post mi hai riportato indietro nel tempo, che belle le usanze di una volta, quei ricordi che ti entrano del cuore e che vengono riproposti nel tempo, anno dopo anno, dagli stessi profumi e dagli stessi sapori. Io mi segno la ricetta perchè se riesco le provo! Un bacio
RispondiEliminaCi riuscirai sicuramente e anche meglio di me ! Grazie Laura, un abbraccio
EliminaQuanto sono belle le nostre tradizioni, complimenti!
RispondiEliminaGrazie, un abbraccio Speedy !
EliminaUna ricetta della tradizione che non conoscevo, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo racconto con la ricetta , con questo post mi ha portato nlle atnosfere di un tempo della tua zona . Ricetta segnata . Un abbraccio, Daniela.
RispondiEliminaGrazie Daniela, sono contenta che le mie parole siano riuscite a comunicare e condividere le mie emozioni e vissuti con te. Contraccambio il tuo abbraccio, a presto
EliminaChe belle le ricette della tradizione, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo post!
RispondiEliminaUn abbraccio cara, ti auguro una Buona Pasqua!
Un gran bel racconto di questo preparazione della tradizione culinaria dell'amiata, grazie
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